La legge italiana in materia di disciplina della malattia del dipendente stabilisce che quest’ultimo ha diritto alla conservazione del posto di lavoro per un periodo – detto periodo di comporto – stabilito dal contratto o dalla contrattazione collettiva e che, in linea generale, non può essere inferiore a 180 giorni.
Esistono tuttavia alcuni casi in cui il datore di lavoro può procedere comunque al licenziamento durante il periodo di comporto. Uno di questi casi è la condotta particolarmente grave del dipendente durante la malattia che mina il vincolo fiduciario insito nel contratto di lavoro subordinato e sussistente tra datore e lavoratore: in questo caso si può procedere al licenziamento per giusta causa.
Gli altri casi riguardano, ad esempio, il mancato superamento del periodo di prova, la mancata conferma al termine del periodo di apprendistato, la scadenza dei termini contrattuali, la sopravvenuta invalidità che rende impossibile l’esecuzione della prestazione e la cessazione dell’attività di impresa.
La giurisprudenza, negli ultimi decenni, ha più volte chiarito che non esiste un’incompatibilità assoluta tra lo stato di malattia del dipendente e l’eventuale attività lavorativa o ludica svolta in costanza di assenza dal lavoro per malattia.
Secondo diverse pronunce della Cassazione non basta infatti provare l’attività ludica o lavorativa del dipendente durante il periodo di malattia (nell’orario di lavoro fissato dal contratto di lavoro subordinato) ma occorre provare, mediante una visita fiscale o prove consistenti, il carattere simulato della malattia. Il semplice svolgimento di un’altra attività durante il periodo di malattia, secondo i giudici, non costituirebbe di per sé violazione o inadempimento degli obblighi contrattuali.
Questo orientamento, già adottato in passato, è stato ribadito con la sentenza 13063/2022 con la quale la Cassazione ha stabilito che “in materia di licenziamento disciplinare (per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, ndr) intimato per lo svolgimento di altra attività, lavorativa o extralavorativa, durante l’assenza per malattia del dipendente, grava sul datore di lavoro la prova che la malattia in questione sia simulata ovvero che la predetta attività sia potenzialmente idonea a pregiudicare o ritardare il rientro in servizio del dipendente, atteso che l’art. 5 della legge n. 604/1966 pone a carico del datore di lavoro l’onere della prova di tutti gli elementi di fatto che integrano la fattispecie che giustifica il licenziamento e, dunque, di tutte le circostanze oggettive e soggettive, idonee a connotare l’illecito disciplinare contestato”
Di recente la Cassazione ha ulteriormente ribadito tale indirizzo con l’ordinanza 12152 del 6 maggio 2024. I giudici hanno qui stabilito che “pur non essendovi un espresso divieto per il dipendente a svolgere altre attività durante il periodo di malattia tale condotta può comunque rilevare disciplinarmente – e quindi condurre al licenziamento – laddove l’attività svolta (lavorativa o ludica) sia di per sé sufficiente a far presumere l’inesistenza dell’infermità addotta, dimostrando quindi una sua fraudolenta simulazione, sia quando l’attività stessa sia tale da pregiudicare o ritardare, anche potenzialmente la guarigione o il rientro in servizio del lavoratore”.
Il datore di lavoro, sul quale grava l’onere della prova, deve quindi poter dimostrare che il dipendente ha simulato una malattia e che ha abusato dei permessi per malattia. Va inoltre dimostrato che l’attività svolta sia pregiudizievole per la guarigione o il pronto rientro del dipendente al lavoro.
Se l’attività extralavorativa o ludica viene svolta durante l’orario di lavoro previsto dal contratto sarà la visita fiscale ad accertare eventualmente il carattere simulato della malattia. Qualora invece l’attività venga svolta al di fuori dell’orario occorrerà poter dimostrare che la natura dell’attività è pregiudizievole, anche solo potenzialmente, alla ripresa del lavoro da parte del dipendente.
È piuttosto recente la notizia del tifoso di una squadra di Serie A che, malgrado una sciatalgia addotta a causa dell’assenza dal lavoro, si è recato comunque allo stadio per assistere a una partita. Licenziato dal datore di lavoro, è stato reintegrato dal tribunale del lavoro perché “assistere a una partita non richiede particolari sforzi fisici”.
È stata invece riconosciuta la legittimità del licenziamento per giusta causa di un dipendente che in periodo di malattia è stato scoperto – mediante profilo Facebook e servizi sulla stampa locale – a esibirsi con la propria band durante un concerto. Qui i giudici, pur ribadendo l’orientamento già accennato secondo cui il semplice svolgimento dell’attività ludica non costituisce di per sé inadempimento, hanno stabilito che il licenziamento è legittimo anche soltanto quando la ripresa dell’attività lavorativa è messa in pericolo dalla condotta imprudente del lavoratore.
La casistica, negli ultimi quarant’anni almeno, ha visto susseguirsi moltissime pronunce con esiti diversi. A spostare l’ago della bilancia è spesso la natura della malattia addotta e la valutazione della compatibilità di questa con l’attività parallela svolta dal dipendente. Scorrendo le sentenze si può evincere che il datore di lavoro la spunta laddove viene dimostrato che il dipendente svolge mansioni anche solo in parte simili a quelle del lavoro dal quale è assente: possiamo qui prendere il caso di un lavoratore con mansioni di lavaggio automezzi impossibilitato a lavorare per dolori alla spalla e successivamente scoperto a movimentare carichi pesanti.
Il giudizio si basa quindi molto spesso sulla valutazione del singolo caso e il licenziamento appare la soluzione accettata soltanto quando viene provato che la malattia addotta è simulata.
È di qualche settimana fa l’ultima pronuncia della Cassazione sul tema del licenziamento in malattia per svolgimento di attività ludica.
Il caso di specie, portato dinanzi al Tribunale del lavoro di Napoli, vedeva la dipendente di una mensa ricorrere contro il licenziamento per giusta causa comminato dal datore di lavoro perché era stata sorpresa – durante l’assenza per malattia ma al di fuori dell’orario di lavoro previsto da contratto - a dedicarsi ad attività ludica presso una sala da gioco e a fare spesa presso un centro commerciale.
I giudici del lavoro, valutato il caso e le prove addotte dal titolare dell’azienda, hanno disposto il reintegro della dipendente ritenendo illegittimo il licenziamento.
Il ricorso dinanzi alla Sezione Lavoro della Cassazione è stato da questa rigettato, confermando il giudizio del Giudice d’appello. La Corte, dopo aver ribadito gli orientamenti cui abbiamo appena accennato, ha confermato il giudizio di secondo grado nel quale veniva stabilito che le attività ludiche svolte dalla dipendente, peraltro al di fuori dell’orario di lavoro, fossero inidonee a far presumere una malattia simulata e non atte a pregiudicare o ritardare il rientro della dipendente in servizio.
La Cassazione, con questa ordinanza, ha ulteriormente rafforzato i principi e l’orientamento già più volte seguiti in precedenza.
Possiamo pertanto concludere che il licenziamento per giusta causa di un dipendente che, durante l’assenza per malattia, svolge attività ludica o addirittura lavorativa è legittimo soltanto laddove la tipologia dell’attività svolta è tale da pregiudicare o ritardare il ritorno al lavoro dello stesso e solo nel caso in cui il datore di lavoro riesca a provare il carattere simulato della malattia del dipendente.
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