Le prove, nel processo civile, sono disciplinate dal Codice civile e in particolare dal Libro VI, titolo II. Il libro si apre con l’art. 2697, rubricato “Onere della prova”, il quale stabilisce che “Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.
L’art.115, comma 1, c.p.p. stabilisce inoltre che, “salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero nonché i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita”.
Che cosa si intende per “prova documentale”? Il Codice civile non lo specifica espressamente ma indica alcune tipologie di documento: l’atto pubblico, la scrittura privata, la sottoscrizione autenticata, le taglie o tacche di contrassegno, il telegramma, le carte e registri domestici.
Le nozioni esistenti di “documento” sono state ricavate dalla dottrina. Una di queste, ad opera di Carnelutti, definisce il documento come “cosa rappresentativa di un fatto giuridicamente rilevante”. Teorie contrapposte hanno sostenuto che la rappresentazione avverrebbe soltanto a seguito dell’analisi del documento stesso da parte di chi è chiamato a giudicare.
Va da sé che l’evoluzione tecnologica ha di fatto reso obsoleto e anacronistico l’elenco previsto dal Codice civile, in quanto hanno assunto dignità probatoria anche i documenti inviati via telex, fax, e-mail e messaggi (sms o altro).
È invece più specifica la definizione di prova documentale che viene data dall’art. 234 del codice di procedura penale che al comma 1 stabilisce: “E’ consentita l’acquisizione di scritti o di altri documenti che rappresentano fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo”.
Se ne deduce che può essere definito documento qualsiasi supporto che sia giuridicamente rappresentativo di un fatto.
I mezzi di prova nel Processo Civile, sono rappresentati da tutto ciò che può servire al giudice per acquisire la cognizione dei fatti rilevanti per la decisione di un giudizio.
Nel nostro ordinamento oltre alla prova documentale, il codice stabilisce come mezzi di prova da poter utilizzare nel processo civile: la verificazione della scrittura privata, la querela di falso, la confessione, il giuramento, la testimonianza, l’interrogatorio formale, l’ispezione, l’esibizione, la consulenza tecnica, la prova delegata ed altri provvedimenti integrativi istruttori.
Di seguito esamineremo l'altro mezzo di prova maggiormente utilizzato: la prova testimoniale.
Il nostro Codice civile disciplina anche la prova testimoniale all’art. 2721, comma 1, prevedendo l’inammissibilità qualora il valore oggetto del contratto ecceda gli euro 2,58. Una previsione anacronistica che viene temperata dal comma 2, nel quale viene stabilito che l'autorità giudiziaria può consentire la prova oltre il limite anzidetto, tenuto conto della qualità delle parti, della natura del contratto e di ogni altra circostanza.
L’art. 2724 c.c. prevede dei limiti e stabilisce quando la testimonianza è invece sempre ammessa:
Nell’ambito del procedimento penale la testimonianza riveste un’importanza ben diversa rispetto al rito civile. Viene infatti considerata tra i principali mezzi di prova e trova la sua sede di formazione proprio nel corso del procedimento. Questo istituto è regolato dagli artt. 194 e seguenti del Codice di procedura penale.
La testimonianza si configura come la dichiarazione di un terzo, estraneo alla vicenda giudiziaria, relativa a fatti rilevanti per la stessa.
L’estraneità del terzo non basta da sola a provarne l’affidabilità e la credibilità che dovrà sempre essere accertata dal giudice.
La prova testimoniale deve sempre riguardare fatti determinati e specifici e non giudizi morali, apprezzamenti personali o voci correnti sull’imputato.
Il testimone, una volta citato, dovrà comparire in udienza e osservare l’obbligo di rispondere alle domande che le parti gli pongono secondo verità.
La testimonianza può essere diretta, se il testimone riferisce fatti di cui ha avuto conoscenza diretta, o indiretta. In quest’ultimo caso si parla di testimone de relato, ovvero un teste che riferisce in merito a fatti dei quali non ha avuto diretta conoscenza o percezione ma che ha appreso da terzi. L’art. 195 c.p.p. prevede che, ai fini dell’utilizzabilità, venga sentito anche colui che ha fornito le informazioni, ovvero il testimone di riferimento.
Non sarà pertanto utilizzabile la testimonianza di chi si rifiuta o non è in grado di indicare la persona o la fonte da cui ha appreso la notizia dei fatti, salvo che il teste di riferimento sia morto, irreperibile o infermo.
Esiste poi il caso del testimone assistito, ovvero che non è terzo rispetto ai fatti oggetto del procedimento ma è imputato in un processo collegato o connesso a quello in cui viene chiamato come teste.
Vista la particolare natura della sua posizione il testimone in oggetto deve necessariamente essere assistito da un avvocato di fiducia ovvero d’ufficio a pena di nullità delle sue dichiarazioni.
Il codice di procedura penale, all’art. 327 bis, dispone espressamente che l’avvocato difensore, nell’espletamento dell’attività investigativa, che ha facoltà di svolgere per ricercare elementi di prova utili al suo assistito, possa incaricare un investigatore privato autorizzato per lo svolgimento di tali attività. Gli articoli 391 bis c.p.c. e seguenti disciplinano poi l’acquisizione di tali prove.
Per quanto riguarda, invece la validità delle prove raccolte dall’investigatore privato in sede processuale civile, occorre osservare che la relazione redatta dal medesimo sulle indagini effettuate, è annoverata tra gli scritti del terzo che non è parte in giudizio ed è, pertanto, considerata una prova cosiddetta “atipica”.
Sul punto, è intervenuta un’ordinanza del Tribunale di Milano nel 2013 che ha confermato la natura di prova atipica della relazione investigativa, quale scritto del terzo formato in funzione testimoniale, precisando tuttavia che tale prova potrà “avere piena efficacia probatoria in quanto il suo contenuto venga acquisito al procedimento mediante prova orale”.
Pertanto, sebbene non possa trovare ingresso nel processo civile la relazione investigativa in veste di documento, le prove in essa contenute possono entrare in causa chiamando il detective a testimoniare e, dunque, sentendolo oralmente nelle forme previste dal codice di procedura civile, su fatti precisi, circostanziati e chiari che lo stesso ha appreso direttamente durante lo svolgimento delle indagini.
Dogma S.p.A. svolge tutte quelle attività investigative idonee a raccogliere elementi di prova da utilizzare in sede giudiziaria al fine di far valere un proprio diritto nei confronti della/e controparte/i. A tal fine, può supportare il richiedente nella ricerca delle prove necessarie a dimostrare qualsiasi tipo di diritto vantato, predisponendo, al termine dell’attività, un’apposita relazione producibile in sede giudiziaria.
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