Un lavoratore è comunemente tenuto, nell’esercizio delle sue mansioni e all’interno del luogo di lavoro, al rispetto degli obblighi di diligenza, fedeltà e obbedienza. Il vincolo fiduciario che giocoforza si instaura con il datore di lavoro completa il quadro che definisce i rapporti di lavoro subordinato.
Che cosa succede però se il datore di lavoro ha un sospetto sul dipendente circa il rispetto di tali obblighi o, più in generale, su una condotta illecita dello stesso? Può egli disporre delle indagini sul dipendente al fine di procurarsi le prove per il licenziamento?
La legge prevede circostanze e limiti in cui le indagini sono possibili ma spesso sono stati i giudici di Cassazione a intervenire per fornire una corretta interpretazione delle scarse norme a presidio dei diritti del datore di lavoro.
Per procedere a un licenziamento il datore di lavoro deve procurarsi le prove della condotta illecita del lavoratore ma farlo non è sempre così facile e dipende dalla natura dell’illecito.
Un’indagine accurata sul proprio dipendente può essere cruciale in diversi casi, tra cui:
Occorre distinguere tra le indagini che possono essere svolte all’interno dell’azienda e quelle che possono essere svolte al di fuori del luogo di lavoro. La normativa, infatti, differisce sostanzialmente.
Buona parte dei casi che abbiamo citato richiederanno un’indagine che si svolgerà al di fuori dello spazio aziendale e sono quei casi che finiscono sotto la definizione di “infedeltà aziendale”. Possiamo definirli come quei casi in cui l’illecito si compie durante l’orario di lavoro ma all’esterno dei locali dell’azienda, in frode alla stessa.
Per accertare che il dipendente, ad esempio, sia assenteista (sfrutti, cioè, permessi e ferie ravvicinati per non recarsi al lavoro e creare un danno all’azienda), svolga un doppio lavoro o abusi dei permessi concessi ai caregiver (permessi ex legge 104) è necessario accertare che cosa faccia quel dipendente nelle ore di permesso e, sostanzialmente, all’esterno dell’azienda.
L’indagine non può ad esempio essere svolta dalle Guardie Particolari Giurate che operano all’interno dell’azienda e anche il “fai da te” non è consigliabile perché può facilmente sfociare nella commissione di un reato (stalking, interferenze illecite nella vita privata, molestie).
Il datore di lavoro potrebbe e dovrebbe rivolgersi a un’agenzia investigativa privata per azioni di osservazione a distanza – statica o dinamica (appostamento e pedinamento) - e raccolta di documentazione video-fotografica che costituiscano prova dell’infedeltà del dipendente.
Sul punto è intervenuta, con l’ordinanza 6174/2019 la Corte di Cassazione, la quale ha specificato che “i controlli del datore di lavoro, anche a mezzo di agenzia investigativa sono legittimi ove siano finalizzati a verificare comportamenti del lavoratore che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti o integrare attività fraudolente, fonti di danno per il datore medesimo”.
I giudici hanno quindi stabilito che i controlli sono legittimi purché svolti in ambiti pubblici – al di fuori dell’azienda e di luoghi privati, ad esempio la dimora del dipendente – e limitati all’accertamento dell’illecito. I controlli non possono poi avere ad oggetto la verifica dell’adempimento della prestazione lavorativa (ad esempio di un lavoratore in smart working), nel qual caso contrasterebbero con i limiti previsti dalla l. 300/1970.
Il discorso è ampiamente diverso per i controlli da effettuare all’interno dell’azienda, ad esempio per provare il furto da parte di un dipendente. La videosorveglianza dei dipendenti è stata regolata piuttosto precisamente dalla legge 300/1970 (c.d. Statuto dei Lavoratori) e dalle successive modificazioni.
In particolare, l’art. 4 della suddetta legge, vieta al datore di lavoro di impiegare strumenti audiovisivi per verificare l’attività lavorativa del dipendente. Le telecamere e gli strumenti di controllo remoto possono essere certamente installati in azienda ma soltanto per ragioni di sicurezza.
Sono tuttavia previsti dei casi in cui, previo accordo con l’Ispettorato del lavoro e le rappresentanze sindacali, è possibile utilizzare la videosorveglianza per il controllo dei dipendenti. Questo può accadere se l’attività di indagine è indispensabile per la prevenzione di eventi pericolosi, se è necessaria a contrastare attività illecite (es. cessione di sostanze stupefacenti), sia finalizzata alla tutela del patrimonio aziendale.
La Cassazione, con sentenza 10636/2017, ha stabilito che sono legittimi i controlli disposti mediante telecamera nascosta e senza preventiva segnalazione all’Ispettorato del lavoro e ai sindacati per evitare il furto o il sabotaggio, riconoscendo prevalente sulla privacy del dipendente il diritto alla tutela del patrimonio aziendale.
Lo stesso orientamento è stato adottato dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo di Strasburgo nel 2018. I giudici hanno infatti stabilito che le riprese realizzate con telecamere nascoste possono essere usate in un processo riguardante il licenziamento se non rappresentano l’unica prova a carico del dipendente.
Le indagini su un dipendente non possono essere svolte autonomamente ma devono essere affidate a professionisti del settore per evitare che possano configurare dei reati a carico del datore di lavoro.
Un soggetto che non abbia esperienza in tecniche investigative potrebbe infatti incorrere nel reato di atti persecutori (art. 612 bis c.p.) o di molestie (art. 660 c.p.) o ancora di interferenza illecita nella vita privata (art. 615 bis c.p.).
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