L’ordinamento giuridico italiano in materia di rapporti di lavoro subordinati prevede tre diverse tipologie di licenziamento, strettamente dipendenti dalle cause che motivano il provvedimento: il licenziamento per giusta causa (o in tronco), il licenziamento per giustificato motivo oggettivo e il licenziamento per giustificato motivo soggettivo.
La norma di riferimento l’art. 1 della legge 604/1966, aggiornato dall’art.1 della legge 92/2012 (riforma Fornero) e l’art.2119 c.c. cui lo stesso rimanda.
Il rapporto di lavoro tra datore e lavoratore si fonda essenzialmente su un vincolo fiduciario e sugli obblighi reciproci: i doveri di diligenza e lealtà per il dipendente e i doveri di tutela dell’integrità morale e fisica del lavoratore, della parità di trattamento, di tutela del posto di lavoro in caso di sospensione e di pagamento dello stipendio.
L’art. 1 della legge 104/1966 stabilisce che “Nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato […] il licenziamento del prestatore di lavoro non può avvenire che per giusta causa ai sensi dell’art.2119 c.c. o per giustificato motivo”.
Il richiamato principio codicistico, posto a normare il recesso dai contratti per giusta causa, stabilisce che “Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo indeterminato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto”
Il licenziamento per giusta causa viene quindi comminato ogniqualvolta il dipendente commette un fatto così grave da ledere il rapporto fiduciario e rendere impossibile la prosecuzione, anche solo temporanea, del rapporto di lavoro. L’entità del comportamento deve essere tale da far perdere al datore di vedere eseguita la prestazione e da portare all’interruzione immediata, senza necessità di preavviso – per questo si dice “in tronco” – del rapporto.
Il licenziamento per giustificato motivo è invece previsto dall’art.3 della l. 104/1966, a norma del quale: “Il licenziamento per giustificato motivo con preavviso è determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro (soggettivo, nda) ovvero da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa (oggettivo, nda)”.
Nel primo caso si tratta, al pari della giusta causa, di un licenziamento disciplinare motivato però da condotte non così gravi da giustificare un’immediata interruzione del rapporto. Nel secondo, invece, si tratta di un licenziamento dovuto a condizioni oggettive, dipendenti dall’andamento dell’azienda, nelle quali non rileva la condotta del lavoratore.
Vediamo nel dettaglio quali sono alcune delle fattispecie che possono portare a un licenziamento per giusta causa o al licenziamento per giustificato motivo oggettivo o soggettivo.
Ecco alcuni esempi per cui si può essere licenziati per giusta causa:
Il licenziamento per giustificato motivo soggettivo invece, può avvenire nei seguenti casi:
Qui di seguito alcuni motivi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo:
Il licenziamento disciplinare, applicato a fronte di una condotta o un significativo inadempimento del lavoratore, può essere quindi un licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giusta causa.
È il più severo tra i provvedimenti disciplinari e tra le forme di licenziamento previste dalla legge. Il datore di lavoro può ricorrervi a fronte di una condotta particolarmente grave del dipendente, tale da rendere impossibile, ance provvisoriamente, la prosecuzione della prestazione. Il licenziamento per giusta causa non prevede un preavviso né un’indennità in favore del dipendente e interrompe infatti immediatamente il rapporto.
Il legislatore ha voluto dare al datore di lavoro uno strumento per interrompere con effetto immediato il rapporto ogniqualvolta il comportamento del prestatore lede il vincolo fiduciario, nonché l’interesse del datore a vedere eseguita correttamente la prestazione lavorativa.
Il datore di lavoro dovrà, a pena di nullità, comunicare il provvedimento al dipendente esclusivamente per iscritto (mediante la c.d. lettera di licenziamento). Il lavoratore avrà 60 giorni di tempo dalla ricezione della comunicazione per presentare ricorso, richiedendo un’indennità o il reintegro in azienda.
Questo tipo di licenziamento disciplinare viene previsto per sanzionare quelle condotte che costituiscono comunque inadempimento degli obblighi contrattuali ma non così gravi da giustificare il licenziamento in tronco.
Il datore di lavoro può ricorrervi in tutti quei casi in cui il dipendente viene meno ai suoi doveri contrattuali violando la diligenza e la lealtà, oppure perché non garantisce il rendimento necessario. Può essere adottato anche qualora le condotte illecite del dipendente siano reiterate nel tempo.
Anche in questo caso il licenziamento dovrà essere comunicato per iscritto, mediante un documento che contenga le motivazioni. A differenza del licenziamento per giusta causa il rapporto di lavoro non si interrompe immediatamente e il dipendente può presentare, entro 5 giorni, delle controdeduzioni e giustificazioni. Se il datore di lavoro non dovesse accettarle e proseguire sulla strada del licenziamento il lavoratore avrà comunque a disposizione 60 giorni per il ricorso.
L’art. 5 della l. 604/1966 stabilisce piuttosto chiaramente che: “L'onere della prova della sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento spetta al datore di lavoro”.
Il datore quindi, prima di procedere al licenziamento, deve procurarsi un adeguato supporto probatorio circa le condotte censurabili messe in atto dal dipendente. Tali prove dovranno essere presentate in occasione della comunicazione del licenziamento e potranno sostenere la pretesa del datore di lavoro in giudizio nel caso in cui il prestatore licenziato opti per il ricorso.
L’onere della prova in capo al datore del lavoro è posto di fatto a impedire il licenziamento “ad nutum”, cioè di un licenziamento comminato per semplice antipatia o per mascherare altre motivazioni.
Il provvedimento di licenziamento dovrà essere supportato da elementi probatori che possano dimostrare l’illecito commesso dal dipendente. Quali sono però le prove utilizzabili in giudizio?
Per quanto riguarda gli illeciti commessi in azienda e non immediatamente evidenti come un comportamento violento il datore di lavoro può ricorrere alla testimonianza da parte di colleghi, all’osservazione diretta o al confronto con i dati (ad esempio il controllo degli ingressi in caso di assenteismo o abuso dei permessi, il confronto tra scorte di magazzino ed eventuali elenchi, il controllo sulle e-mail nel caso di concorrenza sleale o sottrazione di documenti sensibili dell’azienda).
Un discorso a parte merita la videosorveglianza che costituisce tuttora argomento di dibattito giurisprudenziale. La riforma dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori (l. 300/1970) ha mutato la norma ammettendo la liceità dell’utilizzo degli impianti di videosorveglianza a fini disciplinari e la Corte di cassazione, più volte intervenuta sulla questione, ha definito ulteriori limiti. Un datore di lavoro può quindi utilizzare le riprese delle telecamere installate all’interno dei locali aziendali al fine di provare una condotta illecita del dipendente, a patto che:
Le riprese potranno quindi essere utilizzate soltanto in presenza di un sospetto, non invece a scopo preventivo.
Lo stesso può dirsi per i cosiddetti “controlli difensivi” in senso stretto, vale a dire quelli messi in atto mediante l’installazione ad hoc di telecamere occulte laddove vi sia un sospetto circa l’integrità del dipendente per accertare l’illecito. I controlli difensivi possono essere effettuati anche mediante l’utilizzo di Gps (pensiamo al caso di un dipendente che utilizza l’auto aziendale per scopi personali laddove non sia consentito o non svolga le mansioni per cui gli è stata affidata) o il controllo di pc e posta elettronica (solo se sono concessi dall’azienda, non se pc e casella sono privati).
Tali controlli possono peraltro essere affidati a terzi e quindi a un’agenzia investigativa privata.
Le esigenze di tempo e gli elevati profili di rischio connessi a determinate pratiche investigative (ad esempio il pedinamento) sono un limite di non poco conto per un datore di lavoro che voglia indagare sul dipendente al fine di procurarsi le prove e procedere a un licenziamento.
Nel caso di un sospetto o al fine di procurarsi correttamente elementi probatori utili a sostenere un provvedimento di licenziamento è consigliabile rivolgersi a un’agenzia investigativa che potrà svolgere, da un lato, un ruolo consulenziale orientando il cliente alla migliore strategia da adottare e, dall’altro, potrà metterla in atto fornendo al datore le prove necessarie.
Il ruolo di un investigatore privato diventa indispensabile laddove sia necessario osservare il comportamento del dipendente al di fuori del luogo di lavoro, ad esempio per provare una falsa malattia, un abuso dei permessi (il caso di chi chiede un permesso per assistere un parente e svolge invece altre attività non compatibili), la concorrenza sleale, il doppio lavoro. L’agenzia investigativa potrà inoltre occuparsi dell’installazione di videocamere e strumenti di ripresa per realizzare dei controlli difensivi occulti.
Una volta acquisite le prove, l’investigatore privato le racchiuderà in un rapporto finale che potrà essere utilizzato dal datore di lavoro in tribunale, per resistere a un ricorso contro il licenziamento o per ottenere un risarcimento del danno (si pensi al caso di furto o danneggiamento).
Dogma S.p.A. è specializzata nella corretta acquisizione dei riscontri idonei a documentare comportamenti punibili con un licenziamento legittimo, sia esso per giusta causa o giustificato motivo in base alle circostanze nelle quali sono stati commessi, reperendo prove certe di tipo testimoniale e/o documentale utilizzabili in sede giudiziaria.
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Riferimenti normativi:
Foto: Immagine di Yanalya su Freepik
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