L’art. 4 dello Statuto dei lavoratori (L. 300/1970), regola l’utilizzo degli impianti audiovisivi nei luoghi di lavoro.
Tale articolo è stato modificato nel 2014, dall’art. 23 del cosiddetto Jobs Act (Legge delega n. 183/2014) che ha disposto un nuovo assetto all’equilibrio che sino ad ora aveva caratterizzato tale norma, contemperando due interessi contrapposti: da un lato il potere di controllo del datore di lavoro e, dall’altro, il diritto fondamentale alla riservatezza del lavoratore.
L’art. 4, ante riforma, disponeva il divieto assoluto dell’uso dei suddetti impianti per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, ammettendo, al comma II, che tale divieto potesse essere derogato nel solo caso in cui l’utilizzo fosse richiesto da esigenze organizzative e produttive, ovvero dalla sicurezza del lavoro “soltanto previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna”.
Dalla lettera del suddetto testo normativo, pareva esclusa la possibilità, per il datore di lavoro, di ricorrere a controlli difensivi occulti nei confronti dei dipendenti, mediante impianti di videosorveglianza.
Tuttavia, la Corte di Cassazione, aveva già sancito il principio di piena utilizzabilità delle immagini raccolte con tali strumenti nell’ambito del processo penale, seppure ottenute in violazione dell’iter procedurale prescritto dall’art. 4 comma II, ricordando che il predetto articolo non impedisce i controlli difensivi sul patrimonio dell’azienda, aggredito da azioni delittuose poste in essere da chiunque, compresi i dipendenti. L’eventuale violazione dell’iter sopra descritto, avrebbe rilevato, quindi, solo sotto il profilo civilistico, ma non avrebbe inficiato la possibilità di valutare, quale elemento di prova nel processo penale, le videoriprese effettuate.
Tali assunti muovono dalla necessità di ritenere prevalenti le esigenze di ordine pubblico, relative alla prevenzione dei reati, rispetto al diritto alla riservatezza ed all’autonomia del lavoratore, laddove vi siano concreti ed effettivi sospetti di attività illecite poste in essere all’interno del luogo di lavoro.
Sulla scorta della suddetta interpretazione giurisprudenziale, la nuova formulazione elimina la previsione del divieto assoluto di utilizzo degli impianti audiovisivi e degli “altri strumenti” (dei quali non era presumibile l’invenzione per il legislatore del 1970), dai quali derivi la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, disponendo che possano essere impiegati, oltre che per esigenze organizzative e produttive e per la sicurezza del lavoro, anche “per la tutela del patrimonio aziendale”, fermo restando l’accordo con le rappresentanze sindacali.
Inoltre, il nuovo comma II, esclude che debba esservi un preventivo accordo per il controllo a distanza del dipendente, che può realizzarsi tramite gli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione e gli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze.
Il nuovo testo, pertanto, ha fatto sì che l’eccezione sia, oramai, divenuta la regola, delimitando a determinate condizioni l’utilizzo delle apparecchiature in oggetto che prima era solo eventuale o eccezionale.
A ciò si aggiunga che, con il dettato del comma secondo, il legislatore ha eliminato l’obbligo dell’accordo preventivo con le rappresentanze sindacali, che gravava sul datore di lavoro, consentendo a quest’ultimo di verificare le modalità di utilizzo degli strumenti ricevuti dal lavoratore, senza essere vincolato ad alcun accordo sindacale preventivo.
L'agenzia investigativa Dogma ha maturato una significativa esperienza nell'acquisizione e presentazione di prove nell'ambito dei Controlli difensivi, attività che risulta essere necessaria nei casi di contestazioni fondate su prove documentali.
Risulta dunque lecita, l’installazione di strumenti che possono implicare il controllo dei dipendenti, in modo occulto e previa una procedura codificata dalla nostra esperienza, al fine di tutelare il patrimonio aziendale.
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